Ricevere una diagnosi di malattia crea rabbia, paura, tristezza, depressione, ansia, terrore… Ciò che gli psicologi sanno è che queste emozioni si verificano sempre, in modo più o meno evidente, secondo una sequenza che riguarda tutte le persone che vivono il problema.
La rabbia si può scatenare imprevedibile contro i medici, gli infermieri, i familiari, qualche collega sul luogo di lavoro, i vicini di casa o persone incontrate in modo occasionale per strada. Non si riesce a ricondurre direttamente al trauma della diagnosi di tumore e magari salta fuori dopo tanti mesi, a volte dopo anni, ma se si sta attenti e ci si analizza con onestà si scopre che le fasi della reazione emotiva al trauma arrivano in ogni caso e si trasformano in comportamenti che prima avremmo definito “inusuali”.
Tante depressioni o stati ansiosi si verificano dopo uno o due anni dall’intervento senologico: le donne non se lo spiegano, credono di essere ormai oltre il tempo massimo per una caduta depressiva e invece stanno vivendo le trasformazioni psicologiche necessarie per guarire davvero a livello mentale. Un trauma come la diagnosi di tumore al seno equivale a un lutto, da un lutto si può uscire a patto che sia elaborato.
Segnali di allarme di una rabbia spostata su qualcuno o qualcosa ma in realtà generata dal trauma sono la tendenza a infiammarsi subito se si crede di ricevere un torto e, soprattutto, la collera ostinata verso almeno una figura nel circondario. Medici e infermieri prima tra tutti. Perché un destinatario, un oggetto della rabbia ci vuole e si sceglie chi sembra coinvolto nella malattia più da vicino, che diventa colpevole per il fatto stesso di essersi trovato lì.
Ricevere una diagnosi di malattia provoca rabbia, sempre. Ammettere questo, saperlo, esserne coscienti significa avere una maggiore conoscenza di se stessi e leggere le proprie reazioni con una dose maggiore di accettazione. E se ci accettiamo viviamo meglio e siamo molto più pronti a fare quanto possibile per recuperare la salute fisica.