E’ una situazione inquietante e triste, ha a che vedere con le aspettative e le illusioni, ma soprattutto con il rispetto che sarebbe dovuto a chi ogni giorno affronta la paura, il dolore, la fatica, l’alternarsi tra angoscia e speranza: le notizie sulle novità nella cura andrebbero fornite (e ricevute) con una base credibile e sobrietà, evitando i sensazionalismi.
Non mi si può accusare di rifiutare i cosiddetti Nuovi Media: non li trovo nemmeno più nuovi, visto che da anni ci permettono di accedere a ogni regione geografica del mondo e all’esplorazione dell’universo, ci offrono notizie e contenuti meravigliosi e ci donano la possibilità di comunicare in tempo reale anche se a distanza fisica notevole. Uso i media e li onoro, leggo i giornali (cartacei e non), i libri (cartacei, per lo più) e i siti Web e io stesso comunico ciò che in scienza e coscienza ritengo utile alla gente attraverso un mio sito personale e i miei spazi nei social network. E’ meraviglioso, i giornalisti fanno opera meritoria di divulgazione scientifica e contribuiscono così a salvare vite: tutti noi possiamo ogni giorno scoprire tante novità utili alla vita quotidiana.
Il fatto è che in questo servizio informativo straordinario si dovrebbe imparare a ponderare l’enfasi con cui si trasmettono e si accolgono le parole: possibile che ogni innovazione in tema medico sia interpretata come la soluzione definitiva per tutti, senza eccezioni? In questo modo nascono aspettative illusorie che sono destinate a infrangersi contro gli scogli della realtà, e non perché i medici non siano pronti a offrire il meglio degli esami e delle cure, ma perché è ovvio che ogni passo avanti abbia una certa percentuale di successo se inserita nel contesto globale di ciò che già esiste.
Si perfeziona un esame di diagnosi che prima non c’era? Ecco che subito si pensa che debba sostituire tutti gli altri: ai medici tocca spiegare e rispiegare (a volte invano) che la novità va bene, ma serve in alcune situazioni particolari e non per tutti. Esce un farmaco mirato contro un tipo di tumore? Si scatena la richiesta, comprensibilissima ma irrealistica, di riceverlo sempre, in qualsiasi caso di tumore al seno (per esempio). Umanamente comprendo i motivi che spingono a sperare che ogni risultato della ricerca medica sia “LA” soluzione e non “UNA” soluzione, ma così facendo nascono pericolose e dolorosissime illusioni con conseguenti difficoltà nella relazione tra medici e pazienti.
Quando escono farmaci nuovi non si può affermare che annullino tutte le terapie precedenti e le sostituiscano, e lo stesso vale per le tecniche chirurgiche o i sistemi di radioterapia: ogni cura va inserita in un contesto, aggiunge molto se scelta dai medici in modo appropriato nel singolo paziente con alcune specifiche caratteristiche, e con un guadagno percentuale che comunque non è (purtroppo) garanzia di successo assoluto.
Ho inventato anni fa (insieme al collega Giovanni Paganelli) la tecnica chirurgica ROLL per individuare e togliere in modo preciso le lesioni non palpabili della mammella: sono felice perché attualmente è la più usata in tutto il mondo e in particolare nei centri di eccellenza, ma non mi sogno di credere che debba essere adottata in modo indiscriminato. Anzi: la sua eccellenza sta nell’interagire con altre tecniche che, in casi particolari, risultano funzionali per ottenere il medesimo risultato.
Non è infrequente che nella mia attività chirurgica quotidiana le donne con tumore al seno arrivino convinte di “richiedere” un certo intervento, avendone letto qua e là nei media o avendo sentito che è risolutivo in tutti i casi: molto volentieri impiego il tempo con loro per rispondere alle domande e ai dubbi e per esporre la mia reale prescrizione, ma dolorosamente mi interrogo, poi, su quanto sia utile generare aspettative in persone in difficoltà, che magari non riescono rapidamente a trovare l’interlocutore giusto e perdono settimane girovagando tra specialisti nella convinzione che una cura, oggi, possa essere pretesa come al supermercato, solo perché è stata pubblicizzata come infallibile e non perché realmente indicata.